E’ sempre controversa l’ammissibilità della consulenza “conciliativa” (ex art. 696 bis c.p.c.) in caso di contestazione radicale del resistente

E’ sempre controversa l’ammissibilità della consulenza “conciliativa” (ex art. 696 bis c.p.c.) in caso di contestazione radicale del resistente
17 Marzo 2020: E’ sempre controversa l’ammissibilità della consulenza “conciliativa” (ex art. 696 bis c.p.c.) in caso di contestazione radicale del resistente 17 Marzo 2020

I Giudici di merito continuano a dividersi sulla ammissibilità della consulenza tecnica conciliativa prevista dall’art. 696 bis c.p.c. nel caso il resistente contesti la sussistenza stessa del credito da “mancata o inesatta esecuzione di obbligazioni contrattuali o da fatto illecito” vantato dal ricorrente.

Da un lato vi è chi, come il Tribunale di Mantova, con l’ordinanza 18.6.2018, ritiene che “la radicale contestazione… della responsabilità” (nel caso specifico: extra contrattuale) vanifichi la finalità propria dell’istituto, stante la sua “funzione deflattiva-conciliativa”, perché in tal caso “mancherebbe qualsivoglia punto di partenza per l’ipotesi di conciliazione” e la consulenza stessa “rischierebbe di essere meramente esplorativa ed inidonea ad evitare il giudizio di merito”.

Dall’altro si collocano coloro secondo i quali la consulenza “conciliativa” “non presenta tra i requisiti di ammissibilità la non contestazione in ordine all’an debatur”, da un lato perché un simile requisito non si desume dal “tenore letterale della norma” e dall’altro in quanto “la esplicita finalità deflattiva perseguita dal legislatore” verrebbe vanificata “qualora fosse sufficiente a paralizzarne l’esperimento la semplice contestazione sull’an debeatur da parte del convenuto”.

I fautori di questa tesi, fra i quali il Tribunale di Padova (con ordinanza in data 23.2.2017), osservano, inoltre, che l’istituto “assolve ad una duplice funzione” perché non si pone solo “in un’ottica deflattiva del contenzioso”, ma è diretto anche “a precostituire un mezzo di prova da produrre nel successivo giudizio di merito, qualora la conciliazione non riesca”.

È curioso che entrambe le ordinanze in questione richiamino quale precedente dell’indirizzo accolto due diverse ordinanze del Tribunale di Milano. A riprova del fatto che la questione controversa divide sovente i magistrati di uno stesso Ufficio giudiziario.

In proposito uno spunto di riflessione interessante, ma sinora misconosciuto riguarda l’effetto derogatorio della precisa scansione procedurale delle fasi del giudizio di merito che l’esperimento della consulenza ex art. 696 bis c.p.c. implica di per sé stesso.

La struttura del giudizio ordinario è, infatti, ordinata per fasi scandite dalle preclusioni previste dal rito, per cui dapprima le parti sono chiamate a definire il thema decidendum ed il thema probandum, poi ad integrare le proprie istanze istruttorie e produzioni documentali e solo una volta così definito l’oggetto del contendere e quello delle (eventuali) prove costituende, può procedersi all’espletamento dei mezzi di prova e della consulenza tecnica d’ufficio ammessi dal Giudice.

Lo stravolgimento di questa precisa e razionale struttura del procedimento, consistente nell’anteporre la C.T.U. alla definizione del quadro decisorio e probatorio, può, dunque, giustificarsi solo quando sussistano ragionevoli possibilità di conciliare la lite in sede tecnica e di evitare l’instaurazione del giudizio di merito, nell’ottica deflattiva voluta dal legislatore.

Ma esso non pare, invece, ammissibile quando tale prospettiva appaia a priori insussistente, non essendovi allora ragione per un sovvertire l’ordinato svolgimento del processo, se non nei casi di effettiva urgenza di acquisizione della prova, tali cioè da giustificare il compimento di un atto dl ’”istruzione preventiva”, nei più ristretti limiti previsti dall’art. 696 c.p.c..

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